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Con il piede straniero sopra il cuore

Europa 1943/45: tre testimonianze friulane
Moretti Ceschia De Rocco

da domenica 29 novembre 2015 a domenica 10 gennaio 2016

Mostra d’arte a cura di Presenza e Cultura e del Centro Iniziative Culturali Pordenone
In collaborazione con il Comune di Sesto al Reghena

432a mostra d’arte > 29 novembre 2015 > 10 gennaio 2016
Giovedì > Domenica e festivi 10.00 > 12.00 e 15.00 > 19.00
Chiuso 25 dicembre e 1 gennaio
INGRESSO LIBERO
La mostra verrà inaugurata sabato 28 novembre 2015, ore 17.00
Abbazia Santa Maria in Sylvis / Sesto al Reghena
Intervengono
Marcello Del Zotto
Luciano Padovese
Maria Francesca Vassallo
Giancarlo Pauletto

Guarda la videointervista realizzata da Giorgio Simonetti

Guarda il servizio di Tino Zava su TG3 Friuli Venezia Giulia

 

Luciano Ceschia, Federico De Rocco e Mario Moretti, presenti con le loro opere nella mostra “Con il piede straniero sopra il cuore”, portano nelle storiche sale dell’Abbazia di Santa Maria in Sylvis di Sesto al Reghena la propria esperienza di guerra e di prigionia. Un passaggio importante nel XXIV Festival Internazionale di Musica Sacra che ci accompagna “Da Oriente a
Occidente, oltre le frontiere”
, con un programma di concerti, mostre, seminari, percorsi sul territorio.
Inaugurato a ottobre con la prima nazionale del monodramma “Il diario di Anna Frank”, con il partenariato del Teatro Statale dell’Opera e del Balletto di Lubiana per commemorarne il settantesimo della scomparsa e la fine della Seconda Guerra Mondiale, ora vuole offrire un’ulteriore motivo di riflessione attraverso opere di tre importanti artisti che rappresentano il
Friuli Venezia Giulia ben oltre i confini nazionali. La lunga storia di Sesto al Reghera e della sua Abbazia, nel tempo sempre al centro di un intersecarsi di vicende che hanno lasciato il segno nel suo borgo e nelle sua mura, rappresenta una fondamentale occasione per ampliare ulteriormente conoscenza e motivi di affezione ai luoghi. Con grande riconoscenza al Comune e al suo Sindaco per il coinvolgimento e la collaborazione.. Maria Francesca Vassallo

 

TESTIMONIARE PER NON DIMENTICARE
di Giancarlo Pauletto

Gli anni della seconda guerra mondiale, con i tremendi avvenimenti legati non solo ai morti sui campi di battaglia e sulle distese dei mari, ma anche ai massacri nei campi di concentramento - dove una razionale macchina organizzativa e burocratica fu messa al servizio della strage – hanno prodotto molte testimonianze non soltanto diaristiche e letterarie, ma anche figurative, in artisti che direttamente vissero quei tempi e quelle situazioni e che magari parteciparono - nelle varie regioni europee in cui si svolse – alla resistenza contro il nazifascismo.
Celeberrima tra tutte queste testimonianze è il Diario di Anna Frank, cui si riferisce il primo dei concerti programmati quest’anno all’interno del XXIV Festival Internazionale di Musica Sacra, e in riferimento al quale anche viene organizzata questa mostra nello spazio prestigioso dell’Abbazia di Santa Maria in Sylvis, una mostra che vuole rievocare quel clima di guerra attraverso la testimonianza di tre imprescindibili artisti friulani che, attraverso diverse vicende, vissero quei tempi.
Si tratta del pordenonese Mario Moretti, dell’udinese Luciano Ceschia, del sanvitese Federico De Rocco, personalità ben note dell’arte del nostro Novecento, importanti non solo per il loro curriculum, ma soprattutto per i risultati estetici raggiunti, che si vedono benissimo proprio e anchenelle opere relative alla guerra, opere giovanili – tutti e tre gli artisti, al tempo della loro creazione, avevano meno di trent’anni – ma già assai probanti della loro maturità tecnica e culturale.
Mario Moretti (Reggio Emilia 1917 – Pordenone 2008) studiò all’Accademia di Venezia avendo come maestro Bruno Saetti, operò per molti anni come insegnante in area pordenonese, fu pittore, scultore, ceramista, orafo, allestì molte mostre personali, partecipò quattro volte alla Biennale di Venezia e fu presente anche alla Quadriennale di Roma. Militare e ufficiale, l’otto settembre 1943 è a Dubrovnik, da dove viene internato prima in Polonia, poi in due campi tedeschi non lontani dai confini danesi.

Dalla prigionia riesce a riportare uno straordinario gruppo di disegni e acquarelli che testimoniano la vita nei campi in cui fu internato.
Sono figure colte nella desolata solitudine delle baracche, distese sulle brande in atteggiamento d’abbandono, oppure raccolte attorno a un tavolo, o nei rari momenti di svago rappresentato soprattutto dalla presenza di strumenti musicali.
Sono spesso figure isolate, ammalati in attesa della guarigione o, più probabilmente, della morte: qualcuno ha lo sguardo fisso, allucinato, altri sono fermi in attesa, qualcuno legge, qualcuno dorme.
In un autoritratto Moretti si rappresenta con il berretto militare, la testa fasciata, la pipa in bocca, lo sguardo fisso in avanti.
C’è uno smarrimento nel volto, che l’autore riesce ad oggettivare benissimo, testimonianza di una capacità di riflessione che le dure condizioni del campo non sono riuscite a spezzare, l’artista sopravvive nell’uomo, anzi, l’artista è, in questo momento, la forza stessa dell’uomo.
Poi c’è lo sguardo all’esterno, sul breve, limitato paesaggio che dalle baracche può essere colto: magri alberi, torrette, scure costruzioni, binari, il bosco esterno come una specie di desiderio, le figure degli internati appoggiate qua e là, isolate, ognuna carica della sua pena, ognuna stretta alla sua sopravvivenza: tutto è fermo, bloccato nell’autunno e nell’inverno di questi paesaggi, la resistenza nella vita è una volontà sotterranea, ostinata, aspetta un futuro che non può crearsi da sola.
Luciano Ceschia (Tarcento 1926 – Udine 1991) si formò nel disegno e nella pittura a contatto con Tiziano Turrin, valido pittore tarcentino, indi nella scultura con Antonio Franzolini a Udine.
Fu prigioniero in Germania nel 1944-45, nel dopoguerra frequentò il liceo artistico a Venezia, poi interrotto; partecipò alle attività del gruppo neorealista friulano, fu presente nel 1962 alla Biennale di Venezia, allestì importanti mostre personali tra l’altro a Roma, New York Toronto, Vienna, operò con il ferro, con il cemento, con la pietra, con il marmo,
fu eccezionale ceramista.
Come spesso gli scultori, Ceschia fu un forte disegnatore,affrontò con impegno il tema partigiano e contadino, lasciando carte dal forte impatto chiaroscurale, a volte di grandi dimensioni, percorse da un tono epico e popolaresco.

Importa all’artista mettere in evidenza, della resistenza contro il fascismo, la necessità morale, il fatto che si trattava di recuperare una dignità di popolo perduta, da ciò l’impianto largo di queste fi gure, anche quando si tratti di non grandi dimensioni.
Di una simile forza l’artista dava contemporaneamente prova anche nella scultura: due terrecotte, in mostra, testimoniano di questa capacità, il ritratto di un capo partigiano e la potente, drammatica testa di un recluso, di un torturato: la volontà di dire diventa qui una maschera espressionista di formidabile capacità comunicativa.
Federico De Rocco (Turrida di Sedegliano 1918 – San Vito al Tagliamento 1962) studiò a Venezia con Saetti, partecipò alle mostre del neorealismo, fu presente alla Biennale di Venezia e alla Quadrienale di Roma, fondò, assieme a Pier Paolo Pasolini e ad altri artisti ed intellettuali la celebre Academiuta di lenga furlana, collaborando all’altrettanto celebre Stroligut, per il quale diede disegni e incisioni. Militare, durante la guerra, sul fronte francese, dopo l’otto settembre riuscì a rientrare a San Vito, riportando dalla sua esperienza un gruppo di disegni che sono un pregevole diario dei tempi; successivamente si impegnò in una serie di opere aventi a tema i rastrellamenti tedeschi, le azioni partigiane, i lutti e le morti di quei tragici momenti.
I disegni militari del 1942/43 colgono con immediatezza
momenti di vita, sono, per così dire, esercitazioni a rendere
la realtà nel suo peso e nell’accidiosa sospensione dei
giorni di guerra.
I disegni partigiani – che hanno tutti la natura dello studio, dell’impostazione che vorrebbe poi tradursi in opera fi nita, e in effetti alcuni di essi divennero oli su tela – hanno una drammaticità resa con grande effi cacia, il Partigiano impiccato e il Partigiano ferito sono due prove di grande maturità, l’artista non ancora trentenne dimostra qui di aver trovato la sua strada, quella di un realismo profondamente antiretorico, atteggiamento che sarà proprio anche di tutta la successiva attività del pittore.

Info:
www.comune.sesto-al-reghena.pn.it / www.viedellabbazia-sesto.it / infopoint.sesto@tin.it
www.centroculturapordenone.it / facebook.com/centroculturapordenone.it
tel. 0434365387 / 0434699701

 

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